Matteo 21,1-11; Isaìa 50,4-7; Salmo 21 (22); Filippési 2,6-11; Matteo 26,14-27,66
Il Dio di Gesù compie doni e li ripete «ogni mattina»: «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo». Il vero discepolo, prima di parlare, sa ascoltare: «il Signore Dio mi ha aperto e fa attento il mio orecchio».
Bello è poter dire alla Parola: tu mi hai parlato «e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro».
«Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra sapendo di non restare confuso»: lo dice Gesù; con Lui potrebbe affermarlo ogni credente.

Il dono di Dio richiede una risposta perché «il Signore ha bisogno» che ogni credente, senza temere, si ponga la domanda del ‘chi sono io’ perché il Signore, ciò che abbiamo donato, «rimanderà indietro subito»; restituirà con abbondanza: Egli «è il tuo re, mite» perché «tu sappia indirizzare una parola allo sfiduciato».
A Gesù Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, prima della sua ultima Pasqua, si presentò una «folla, numerosissima», che «stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada». E proclamavano inneggianti: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Di fronte a questo evento, attonita e discosta, sta «tutta la città» che, «presa da agitazione», diceva: «Chi è costui?». «La folla rispondeva: Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
La città rifiutò la Parola fatta Carne, fatta vita del popolo di Dio, e Gesù, la sera stessa, lasciò Gerusalemme e se ne tornò in disparte a Betania.
La città riprese la sua vita stanca ed usuale, continuò a compiere il dovere di andare al tempio, osservare penitenze e digiuni, capace di rifiutare Gesù che aveva scosso la sua calma ed aveva procurato, così, il suo forte risentimento, tanto che il giovedì e venerdì proclamò il ‘Crucifige!’.
La testimonianza di Gesù è estrema: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi». Gesù, «dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».
Gerusalemme è la città di oggi che fa uova di cioccolato e pizze di Pasqua, ma non si muove da casa per seguire Gesù o lo fa ritualmente ed esteriormente, mentre fratelli schiavizzati e violentati nello spirito si sottomettono a navigare un mare freddo, nemico oscuro come la notte, e, nella notte terminano la vita erranti.
Si celebra la vita, la morte e la resurrezione di Gesù sapendo che credenti in Cristo, sacrilegamente nel suo nome, distruggono generazioni di giovani, immolate in una guerra fratricida. Cristo è Risorto di una resurrezione incompiuta. Fratelli, riuniti in preghiera nel nome di Cristo, sono pronti ad uscire dalle chiese per cercare altri chiodi e croci ed uccidere altri fratelli desiderosi di resurrezione.
Giuda domanda: «Rabbì, sono forse io?». Ci si dovrebbe domandare ancora: «Rabbì, sono forse io?».
Fonte di Speranza è «Cristo Gesù, che, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini».
Rimane all’uomo, inebriato di aspirazione al possesso ed al denaro, Gesù, unico testimone di una vita diversa: «Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome».
E’ tempo che «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre».(didon)