Comunità Parrocchiale Tuscania

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Don Angelo Gargiuli

 Don Angelo, è nato a Tuscania il 28 aprile 1927, ha svolto diversi lavori da giovane: ragazzo di bottega da un barbiere, poi da un fabbro, quindi in una falegnameria e poi in campagna. Grande la sua passione per il disegno e la pittura.

Ha poi lavorato in seminario e proprio in seminario arriva la vocazione. Diventa quindi seminarista ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1952. Il giorno successivo, la prima messa in cattedrale a Tuscania.

Don Angelo è stato viceassistente dell’Azione Cattolica. Ha fondato il giornale Sottobanco di cui era direttore responsabile, essendo giornalista fin dal 1961.

E’ stato insegnante di disegno; vicerettore ed economo del seminario; aiuto del fratello Mario, parroco di Santa Maria Nuova; insegnante di religione alla scuola media, poi al Preziosissimo Sangue, quindi al ragioneria e al geometri.

Dopo la morte improvvisa del fratello Mario, parroco di Santa Maria Nuova, su richiesta del vescovo Adelchi Albanesi, lo sostituisce nel ruolo.

Dal 19 febbraio 1966, per 40 anni ha svolto il ruolo di padre, fratello, consigliere per tutti i parrocchiani, che avevano sollecitato la sua nomina.

A lui si deve la sistemazione del chiostro Longobardo, della cripta, il recupero delle opere d’arte della chiesa di Santa Maria Nuova, il restauro del soffitto che oggi si può ammirare con le varie pianelle dipinte.

E’ stato uno dei sacerdoti più autorevoli, conosciuti e attivi della diocesi e un pezzo della storia della chiesa di Viterbo che ha servito con zelo instancabile fino agli ultimi giorni della sua lunga esistenza.

Il suo parlare sereno e appassionato, i suoi consigli profondi e puntuali, la sua dedizione generosa e tenace, la sua intelligenza profonda e perspicace, insieme a quell’esperienza di una vita temprata anche dalla sofferenza, hanno fatto di lui un punto di riferimento per tante persone che lui accoglieva con quel sorriso e quella cordialità che sempre lo hanno contraddistinto e per i quali è stato da tutti apprezzato e amato.

Don Angelo Garguli ha lasciato questa vita il 27 febbraio 2019 e le sue spoglie mortali riposano nella sua amata Tuscania.

 

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Padre Vanio Di Marco

Padre Vanio Di Marco nacque a Tuscania il 10 giugno 1935. Proveniva da una famiglia di solidi principi cristiani. I suoi genitori, ancora viventi, si sentirono fieri della vocazione del figlio e lo aiutarono nel suo cammino vocazionale.

Dopo la scuola elementare entrò nel seminario di Dipingano, retto dai Padri Giuseppini del Murialdo, iniziando così il lento e laborioso cammino verso la vita religiosa e sacerdotale.

Nel biennio 1953-54 fece il noviziato in Vigone sotto la guida saggia, prudente e santa del Padre Vittorio Ambrosini, del quale Padre Vanio parlerà poi spesso con i suoi confratelli.

Continuò gli studi superiori a Ponte di Piave (Treviso) negli anni 1954-1957. Fece le sue prime esperienze apostoliche con i giovani nel collegio Murialdo di Albano Laziale (Roma). Gli studenti lo stimarono e lo apprezzarono per la sua dedizione e la sua disponibilità nell’aiutarli. Molte volte ricorderà questa sua esperienza vissuta con entusiasmo, che gli sarebbe servita poi nell’apostolato con i giovani del Collegio “Rubira” a Salinas e specialmente nel Collegio “PADRE Marco Benetazzo” di Babahoyo.

Frequentò gli studi filosofici e teologici in Viterbo dove, al termine di una formazione vissuta con impegno, venne ordinato Sacerdote il 4 aprile 1965.

Per la sua generosità d’animo, per il suo spirito di servizio e il desiderio di essere utile ai fratelli, lo stesso anno dell’Ordinazione Sacerdotale i superiori lo scelsero per inviarlo nella Provincia Missionaria “S. Francesco Saverio” in Ecuador.

Dopo una breve permanenza nel seminario “Leonardo Murialdo” di Ambat, passò al Collegio Salinas, dove fu anche direttore dal 1971 al 1975. (a destra Padre Vanio con Madera Brannetti)

L’obbedienza lo portò poi al Collegio di Babahoyo. Qui si manifestarono le sue doti di educatore e di padre, in una vita dedicata agli orfani nello spirito del Murialdo. Fra quei giovani bisognosi e dimenticati egli espresse tutto l’entusiasmo del suo animo, senza ostentazioni di iniziative straordinarie, donandosi totalmente a loro senza limitazioni di tempo né risparmio di energie.

Qui poté imitare e continuare l’opera caritativa del Padre Marco Benetazzo.

Qualche rara volta tornava a Tuscania, ma sempre per una fugace visita. In una di queste rare occasioni (era il 1979, l’anno del bambino) Angelica Cesetti organizzò una festa nei locali del Centro Anziani, dove Padre Vanio venne accolto con grande affetto ed entusiasmo. La signora Cesetti riuscì a raccogliere tra gli anziani una discreta somma di denaro, che fu seduta stante consegnata a Padre Vanio per aiutare i bambini poveri della sua parrocchia.

Durante l’anno scolastico 1983-84 Padre Vanio fu parroco e direttore dell’opera giuseppina di Guayaquil.

Alcune volte, in conversazioni personale, diceva: “Sono venuto in Ecuador con desiderio di lavorare nella missione del Napo. Sono già trascorsi alcuni anni, e la Missione la conosco molto superficialmente”.

Il Divino Maestro che lo aveva chiamato dalla sua famiglia alla congregazione giuseppina e dalla sua patria, lo andava preparando spiritualmente. Trovandolo pronto per l’ultima missione apostolica, lo inviò a coronare la sua vita nella Missione Giuseppina del Napo.

Padre Vanio sviluppò la sua azione pastorale nei centri missionari di Fatima e di Santa Clara con impegno, dedizione e sacrificio.

Periodicamente visitava altri centri missionari. Dove molte persone attendevano la sua azione pastorale. Là egli si rendeva presente per fare catechismo e amministrare i sacramenti. Tali attività apostoliche andavano minando la sua robusta costituzione fisica. Tuttavia Padre Vanio, nel ritornare dalle visite apostoliche, mostrava molta gioia per aver potuto aiutare i più poveri e abbandonati.
Non aveva tempo per riposare; era sempre pronto e disponibile. Nessuno ha mai bussato alla porta della sua casa senza essere aiutato spiritualmente e materialmente.

Negli ultimi mesi della sua vita soffrì molto a causa di una bronchite acuta. I Superiori lo avevano invitato a curarsi e a prendere un meritato riposo. Ma il suo desiderio di lavorare nei centri missionari era incontenibile: non si sentiva di lasciare i suoi fedeli privi della Santa Messa e avvertiva la sua presenza come doverosa.

Nulla lasciava prevedere che la sua fine sarebbe stata così imminente.

Cosa sentiva nel suo cuore? Cosa gli suggeriva il Divino Maestro?

Pochi giorni prima del suo ritorno alla Casa del Padre si era recato al Santuario della Madonna dell’Acqua Santa, in Banos. Al suo ritorno disse: “Avevo sentito una forte ispirazione di andare in pellegrinaggio al Santuario della Madonna; là ho pregato a lungo, e sono tornato con una grande pace nel cuore”.

La mattina del 17 luglio celebrò con devozione come al solito la Santa Messa nella Chiesa di Santa Clara (Ecuador), alla presenza delle Suore Murialdine e di pochi altri fedeli. Poi, sentendosi stanco, si avviò verso la sua stanza per riposarsi, ma svenne mentre saliva le scale. Accorsero le Suore Murialdine e i medici dell’ospedale. Inutili furono gli sforzi per salvargli la vita. Un collasso cardiaco e polmonare aveva stroncato la sua esistenza a soli 52 anni. Era il 17 luglio 1987. Padre Vanio è sepolto a Tena (prov. di Napo, in Ecuador) nella tomba della Congregazione dei Padri Murialdini.

Nel cimitero di Tuscania è stata eretta una stele alla sua memoria e l’Amministrazione comunale di Tuscania gli ha dedicato una via con delibera consigliare n. 82 del 9 aprile 1988.

(Le notizie biografiche sono tratte dalla commemorazione scritta dal Superiore Provinciale Padre Giovanni Pegoraro).

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Don Domenico Zannetti

Don Domenico Zannetti nacque ad Arlena di Castro il 13 dicembre 1920. Dopo la prematura morte del padre, la vita del piccolo Domenico e dei suoi due fratelli dovette fare esclusivo affidamento sul duro lavoro di Mamma Caterina, che ha compiuto dei veri e propri prodigi per tirar su i suoi tre figlioli.

Fortunatamente Domenico, all’età di 9 anni, venne adottato spiritualmente dall’anziana signorina Maria Grazia Cocco Arrù, residente a Roma, ma di nobile famiglia sarda. Questa pia donna lo aiutò a studiare facendolo entrare nella Congregazione della Pia Società S. Paolo di Alba (Cuneo): Domenico voleva diventare un sacerdote paolino. Durante gli anni del corso teologico espletò anche l’incarico di segretario del Padre Giuseppe Timoteo Giaccardo, allora Maestro Divino della Pia Società S. Paolo, elevato agli onori degli altari dal papa Giovanni Paolo II nel 1989.

Nel 1944 Don Domenico fu trasferito a Roma con l’incarico di segretario di Don Giacomo Alberione, il fondatore della Congregazione Paolina, elevato anche lui agli onori degli altari dal medesimo pontefice.

Ad un certo momento Don Domenico sentì il desiderio di diventare sacerdote secolare; pertanto chiese ed ottenne, alla fine del 1946, il permesso ed entrare nel Seminario Regionale di S. Maria della Quercia per terminare gli studi di teologia. Fu ordinato sacerdote il 18 gennaio 1948. Dapprima fu viceparroco della cattedrale di S. Giacomo, poi, alla morte di Don Francesco Farrocchi († 7 gennaio 1958), divenne parroco titolare.

Egli si prodigò sempre per il bene dei suoi parrocchiani, affrontando frontalmente le varie situazioni con abnegazione, tenacia e volontà indefessa, mostrando all’occorrenza un carattere sanguigno e deciso, ma dietro quella maschera apparentemente burbera, si nascondeva un uomo buono ed un sacerdote caritatevole, sempre incline all’aiuto verso il prossimo.

Nel 1964 fu tra i fondatori dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato, dove assunse anche il ruolo di insegnante di religione.

In parrocchia fondò l’Associazione Uomini di Azione Cattolica, che vide un’assidua partecipazione di numerosissimi cittadini appartenenti anche ad altre parrocchie.
Nel 1986 lasciò la parrocchia della cattedrale, ma vi rimase come Primicerio per decreto del vescovo Mons. Luigi Boccadoro, emanato il 1° ottobre 1986, con il quale gli affidava anche la custodia delle antiche chiese di Tuscania e la titolarità della parrocchia dei SS. Martiri.

Da questo momento Don Domenico si dedicò a risvegliare nei Tuscanesi la venerazione verso i tre Santi Patroni, creando l’Associazione dei “Cultores Martyrum”, che ancora oggi opera per intensificare sempre di più la conoscenza e la venerazione verso i Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano.

L’infermità che lo ha colpito negli ultimi anni ha notevolmente rallentato la sua attività e dinamicità, ma Don Domenico ha sempre saputo sopportare il dolore con pazienza e rassegnazione fino alla morte, avvenuta il 21 febbraio 2006.

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II DOMENICA DI PASQUA – DIVINA MISERICORDIA – C 27 Aprile 2025

Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117 (118); Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19; Giovanni 20,19-31
Tornare a Parola fatta Uomo, Il Vivente
1. «Abbiamo visto il Signore!». Ne siamo certi anche perché Tommaso dubitò: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Io cerco Parola fatta Carne. (altro…)

Don Mario Gargiuli

Tra i libri di Don Giuseppe Ricci si conserva ancora un piccolo libretto dal titolo “La Messa” di Mons. Luigi Civardi. Sulla copertina del libro appare il nome di D. Mario Gargiuli e probabilmente si tratta di un libretto donato a D. Giuseppe dopo la morte di D. Mario. L’Autore del libro, all’epoca noto autore di molte pubblicazioni spirituali e storiche sull’Azione Cattolica, si propone di fare un lavoro di sintesi e insieme di divulgazione dando al cristiano le idee base intorno alla Messa alla luce del dogma, della morale e della liturgia e capitolo dopo capitolo immerge il lettore nello studio e nella meditazione della S. Messa avvertendo che se è necessario e fondamentale lo studio è necessaria anche l’azione e che è l’ora di un vero “apostolato della Messa”.

Nel capitolo “Il Valore religioso della Messa” vi sono molte sottolineature fatte da D. Mario. E quello che più colpisce è la frase iniziale che lui ha sottolineato: “Il Sacrificio richiede la distruzione della Vittima”.

E qui è necessario fermarsi per poter ricordare brevemente chi era D. Mario.

Don Mario Gargiuli nasce il 12 Gennaio 1923 a Tuscania, all’età di 12 anni entra in Seminario, viene ordinato il 5 Luglio 1948 da Mons. Domenico Brizi amico di famiglia. Appena ordinato viene nominato vicerettore del Seminario della Quercia e dopo aver trascorso un breve periodo come viceparroco a S. Angelo in Spatha, diventa parroco nella Parrocchia di S. Maria Nuova. Muore in un incidente stradale il 19 febbraio 1966. Bastano queste poche righe e soprattutto quel 19 febbraio per poter riprendere il filo del discorso dalla frase da lui sottolineata.

La frase sottolineata su quel libretto ci riporta senza tanti sforzi di memoria e senza ricercare troppo il vero significato di quella frase (che ovviamente va letta in relazione al Sacrificio dell’Altare) alla fine prematura di D. Mario.

Si può forse osare di dire che in quel sacrificio di se’, D. Mario è divenuto un tutt’uno con la Vittima dell’Altare. Ma in quel libretto le sottolineature non si fermano e continuano nella mente di chi l’ha conosciuto i rimandi alla sua vita e soprattutto alla sua Fine: “e traforato e ucciso come sul calvario .non muore più”,” Troppe cose riempiono ogni giorno questo piccolo vaso del cuore, il quale ne trabocca”,”Diverso è il modo dell’oblazione..”,”il Verbo prende la forma del pane.”, “Esser uomo e divenire commestibile, divenirlo a tal punto che non si possa servire ad altro uso che a quello di alimento ..”. E fermiamoci ancora una volta su queste due ultime sottolineature che ci portano alla mente alcune sue espressioni contenute nelle sue brevi ma intense omelie.

Omelie che furono pubblicate nel libro “I Discorsi della Domenica”e queste Omelie egli le pronunciava con non poco imbarazzo, arrossendo di fronte alle persone in modo notevole per colpa della sua grande timidezza.

Nella prima Domenica di Quaresima egli scrive ” il pane lo si mangia per strada, tra un colpo di remi e un altro sotto la bora o sotto il maestrale. Un pane che non ha profumo se non di sudore, un pane che non ha gusto se non di vita, un pane che fa stare in piedi, che serve a camminare, a remare, a vangare a combattere con fede, a morire in pace”.

Nel tessuto di queste omelie e di queste parole e soprattutto alla luce della sua vita possiamo affermare che quel divenire commestibile e il diventare alimento per gli altri è stata un’altra delle sue caratteristiche di D. Mario.

L’ultima frase che egli sottolinea in quel capitolo è questa “Si sacrifica per il nostro bene.”.

Davvero D. Mario è stato un prete che “si sacrifica per il nostro bene” e come ricordava un articolo pubblicato dopo la sua morte, per coloro che han conosciuto D. Mario, “non era un prete. Il Padre Eterno, a corto di ministri, prese dalle riserve un angelo, lo lasciò sulla terra, lo fece atterrare al Cerro, in Maremma, illuminò chi di dovere per far di lui un sacerdote. Solo i buoni sono veramente grandi. E non muoiono. Mai!”

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