Comunità Parrocchiale Tuscania

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Don Domenico Zannetti

Don Domenico Zannetti nacque ad Arlena di Castro il 13 dicembre 1920. Dopo la prematura morte del padre, la vita del piccolo Domenico e dei suoi due fratelli dovette fare esclusivo affidamento sul duro lavoro di Mamma Caterina, che ha compiuto dei veri e propri prodigi per tirar su i suoi tre figlioli.

Fortunatamente Domenico, all’età di 9 anni, venne adottato spiritualmente dall’anziana signorina Maria Grazia Cocco Arrù, residente a Roma, ma di nobile famiglia sarda. Questa pia donna lo aiutò a studiare facendolo entrare nella Congregazione della Pia Società S. Paolo di Alba (Cuneo): Domenico voleva diventare un sacerdote paolino. Durante gli anni del corso teologico espletò anche l’incarico di segretario del Padre Giuseppe Timoteo Giaccardo, allora Maestro Divino della Pia Società S. Paolo, elevato agli onori degli altari dal papa Giovanni Paolo II nel 1989.

Nel 1944 Don Domenico fu trasferito a Roma con l’incarico di segretario di Don Giacomo Alberione, il fondatore della Congregazione Paolina, elevato anche lui agli onori degli altari dal medesimo pontefice.

Ad un certo momento Don Domenico sentì il desiderio di diventare sacerdote secolare; pertanto chiese ed ottenne, alla fine del 1946, il permesso ed entrare nel Seminario Regionale di S. Maria della Quercia per terminare gli studi di teologia. Fu ordinato sacerdote il 18 gennaio 1948. Dapprima fu viceparroco della cattedrale di S. Giacomo, poi, alla morte di Don Francesco Farrocchi († 7 gennaio 1958), divenne parroco titolare.

Egli si prodigò sempre per il bene dei suoi parrocchiani, affrontando frontalmente le varie situazioni con abnegazione, tenacia e volontà indefessa, mostrando all’occorrenza un carattere sanguigno e deciso, ma dietro quella maschera apparentemente burbera, si nascondeva un uomo buono ed un sacerdote caritatevole, sempre incline all’aiuto verso il prossimo.

Nel 1964 fu tra i fondatori dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato, dove assunse anche il ruolo di insegnante di religione.

In parrocchia fondò l’Associazione Uomini di Azione Cattolica, che vide un’assidua partecipazione di numerosissimi cittadini appartenenti anche ad altre parrocchie.
Nel 1986 lasciò la parrocchia della cattedrale, ma vi rimase come Primicerio per decreto del vescovo Mons. Luigi Boccadoro, emanato il 1° ottobre 1986, con il quale gli affidava anche la custodia delle antiche chiese di Tuscania e la titolarità della parrocchia dei SS. Martiri.

Da questo momento Don Domenico si dedicò a risvegliare nei Tuscanesi la venerazione verso i tre Santi Patroni, creando l’Associazione dei “Cultores Martyrum”, che ancora oggi opera per intensificare sempre di più la conoscenza e la venerazione verso i Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano.

L’infermità che lo ha colpito negli ultimi anni ha notevolmente rallentato la sua attività e dinamicità, ma Don Domenico ha sempre saputo sopportare il dolore con pazienza e rassegnazione fino alla morte, avvenuta il 21 febbraio 2006.

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II DOMENICA DI PASQUA – DIVINA MISERICORDIA – C 27 Aprile 2025

Atti degli Apostoli 5,12-16; Salmo 117 (118); Apocalisse 1,9-11a.12-13.17-19; Giovanni 20,19-31
Tornare a Parola fatta Uomo, Il Vivente
1. «Abbiamo visto il Signore!». Ne siamo certi anche perché Tommaso dubitò: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Io cerco Parola fatta Carne. (altro…)

Don Mario Gargiuli

Tra i libri di Don Giuseppe Ricci si conserva ancora un piccolo libretto dal titolo “La Messa” di Mons. Luigi Civardi. Sulla copertina del libro appare il nome di D. Mario Gargiuli e probabilmente si tratta di un libretto donato a D. Giuseppe dopo la morte di D. Mario. L’Autore del libro, all’epoca noto autore di molte pubblicazioni spirituali e storiche sull’Azione Cattolica, si propone di fare un lavoro di sintesi e insieme di divulgazione dando al cristiano le idee base intorno alla Messa alla luce del dogma, della morale e della liturgia e capitolo dopo capitolo immerge il lettore nello studio e nella meditazione della S. Messa avvertendo che se è necessario e fondamentale lo studio è necessaria anche l’azione e che è l’ora di un vero “apostolato della Messa”.

Nel capitolo “Il Valore religioso della Messa” vi sono molte sottolineature fatte da D. Mario. E quello che più colpisce è la frase iniziale che lui ha sottolineato: “Il Sacrificio richiede la distruzione della Vittima”.

E qui è necessario fermarsi per poter ricordare brevemente chi era D. Mario.

Don Mario Gargiuli nasce il 12 Gennaio 1923 a Tuscania, all’età di 12 anni entra in Seminario, viene ordinato il 5 Luglio 1948 da Mons. Domenico Brizi amico di famiglia. Appena ordinato viene nominato vicerettore del Seminario della Quercia e dopo aver trascorso un breve periodo come viceparroco a S. Angelo in Spatha, diventa parroco nella Parrocchia di S. Maria Nuova. Muore in un incidente stradale il 19 febbraio 1966. Bastano queste poche righe e soprattutto quel 19 febbraio per poter riprendere il filo del discorso dalla frase da lui sottolineata.

La frase sottolineata su quel libretto ci riporta senza tanti sforzi di memoria e senza ricercare troppo il vero significato di quella frase (che ovviamente va letta in relazione al Sacrificio dell’Altare) alla fine prematura di D. Mario.

Si può forse osare di dire che in quel sacrificio di se’, D. Mario è divenuto un tutt’uno con la Vittima dell’Altare. Ma in quel libretto le sottolineature non si fermano e continuano nella mente di chi l’ha conosciuto i rimandi alla sua vita e soprattutto alla sua Fine: “e traforato e ucciso come sul calvario .non muore più”,” Troppe cose riempiono ogni giorno questo piccolo vaso del cuore, il quale ne trabocca”,”Diverso è il modo dell’oblazione..”,”il Verbo prende la forma del pane.”, “Esser uomo e divenire commestibile, divenirlo a tal punto che non si possa servire ad altro uso che a quello di alimento ..”. E fermiamoci ancora una volta su queste due ultime sottolineature che ci portano alla mente alcune sue espressioni contenute nelle sue brevi ma intense omelie.

Omelie che furono pubblicate nel libro “I Discorsi della Domenica”e queste Omelie egli le pronunciava con non poco imbarazzo, arrossendo di fronte alle persone in modo notevole per colpa della sua grande timidezza.

Nella prima Domenica di Quaresima egli scrive ” il pane lo si mangia per strada, tra un colpo di remi e un altro sotto la bora o sotto il maestrale. Un pane che non ha profumo se non di sudore, un pane che non ha gusto se non di vita, un pane che fa stare in piedi, che serve a camminare, a remare, a vangare a combattere con fede, a morire in pace”.

Nel tessuto di queste omelie e di queste parole e soprattutto alla luce della sua vita possiamo affermare che quel divenire commestibile e il diventare alimento per gli altri è stata un’altra delle sue caratteristiche di D. Mario.

L’ultima frase che egli sottolinea in quel capitolo è questa “Si sacrifica per il nostro bene.”.

Davvero D. Mario è stato un prete che “si sacrifica per il nostro bene” e come ricordava un articolo pubblicato dopo la sua morte, per coloro che han conosciuto D. Mario, “non era un prete. Il Padre Eterno, a corto di ministri, prese dalle riserve un angelo, lo lasciò sulla terra, lo fece atterrare al Cerro, in Maremma, illuminò chi di dovere per far di lui un sacerdote. Solo i buoni sono veramente grandi. E non muoiono. Mai!”

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Don Luigi Sartori

Don Luigi Sartori nacque a Tuscania il 13 marzo 1884. Fu ordinato sacerdote il 15 agosto 1907.

La sua missione la svolse tutta in Tuscania. Sostò a tutte le tappe del bene come pochi: fu professore di matematica nel locale seminario e Rettore della parrocchia dei SS. Marco e Silvestro dal febbraio 1925 fino al 1938, Canonico penitenziere del Capitolo della Cattedrale, di cui divenne Primicerio dal 1956 fino alla morte.

Fu un sacerdote assai stimato per le sue eccezionali qualità di sacerdote e di studioso.

Ricordano soprattutto la pietà eucaristica che così a lungo lo tratteneva in ginocchio prima e dopo la Messa. In più fu sempre insegnante nella scuola elementare ove ebbe modo di esercitare tutte le sue belle doti pedagogiche. Insegnò poi presso il locale seminario vescovile. Il prete, anche quando insegna, sa di dover essere sempre educatore alla fede, formatore di coscienze cristiane, forgiatore di caratteri.

Tale Don Luigi si dimostrò per una generazione e la Città ne ha risentito per molti anni. Disponibile al bene era riservato alla inutile socialità, negato alla convivialità. Dedicava il tempo libero dal ministero e dalla scuola allo studio e alla lettura, divenendo di vasta cultura. Le epigrafi cimiteriali talvolta dicono il vero e quella di Luigi Sartori è veramente puntuale e merita di essere trascritta, perchè riassume realmente il ministero e la vita di questo:

Sacerdote di Cristo
Ricco di doti naturali e soprannaturali
Intelligente, docile, buono
con dolorosa costanza e stimato a prudenza
Insegnante, Parroco, Canonico
consumò la vita per amore del Signore e il bene delle anime.

Rileviamo in particolare la “dolorosa costanza” perchè è noto che dall’amore trasse la forza di sopportare in silenzio un’ingiusta sentenza di cui fu vittima. Ma la verità trova sempre da sé la via per affermarsi. Così fu anche per Lui. Morì a Tuscania il 27 dicembre 1967.

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Don Lidano Pasquali

Don Lidano Pasquali nacque a Tuscania il 31 agosto 1914. Fu ordinato sacerdote il 13 marzo 1937 dal vescovo Mons. Emidio Trenta. L’anno successivo, poiché Don Luigi Sartori per limiti di età lasciava la parrocchia dei SS. Marco e Silvestro, Don Lidano ne divenne dapprima economo, poi rettore fino alla morte.

Canonico del Capitolo della Cattedrale, venne affidata a Don Lidano la custodia dell’Archivio Storico Capitolare e Vescovile, di cui approfondì costantemente la conoscenza, dedicando, dopo aver espletato i suoi impegni pastorali, parte del suo tempo libero all’erudizione, analizzando con perizia le fonti documentarie rilevate in diversi archivi e portando alla luce numerose notizie di storia locale. Lungo il corso degli anni ha sempre riversato con abnegazione tutto il suo sapere nelle menti di numerosissimi giovani laureandi, che avevano necessità di consultarlo per motivi di studio.

Ed è proprio contattando le persone colte che Don Lidano compiva opera di apostolato, perché, dopo aver trattato argomenti di storia locale, trovava sempre il modo per instillare nell’animo del suo interlocutore una buona parola per spingerlo a compiere il bene; pertanto non ci si può rammaricare se Don Lidano non ci ha lasciato nulla di scritto ed ha portato via con sé tutte le sue immense conoscenze storiche: ci ha lasciato, però, l’esempio di un uomo generoso, giusto, onesto e pio.

Trovava sempre il modo per esprimere una parola caritatevole per tutti. Coloro che non avevano dimestichezza con la cultura storica l’avvicinavano sempre con piacere, perché in ogni circostanza Don Lidano sapeva trovare parole appropriate, adatte ad ogni situazione, magari raccontando aneddoti assai spesso curiosi da suscitare ilarità negli uditori, che finivano per essere sempre edificati da un sano commento finale, perché l’ilarità e la bonomia di Don Lidano non non era mai fine a se stessa, ma sempre in funzione una buona parola, da spendere per incoraggiare ad operare il bene.

Fu tenuto in grande stima anche dal Ministero dei Beni Culturali, che lo nominò Ispettore Onorario di zona. Don lidano fu anche appassionato cultore di musica sacra e provetto organista.
Riportiamo le parole che una sua parrocchiana, Angelica Cesetti Mancini, gli dedicò davanti a tutti i parrocchiani festosi, nel marzo 1987, in occasione del cinquantesimo di sacerdozio:

“A Don Lidano Pasquali!
È bello ricordare il Cinquantesimo di sacerdozio del nostro Parroco!
Ricordo bene.

Era appena un ragazzo, timido, impacciato, che durante l’omelia non riusciva a spiccicare una parola!

Chi l’avrebbe mai detto che dietro quella timidezza si nascondeva una cultura tale da convertire tanti chierichetti al sacerdozio, da produrre anche alcuni missionari, che sono andati oltre Oceano a portare la Buona Novella!

Questo dimostra quanta capacità di convinzione abbia avuto la sua semplice parola.

Per noi parrocchiani, e per il nostro Paese, la figura di Don Lidano sia sempre onore e vanto!

Ricordo poi il coraggio dimostrato dopo il terremoto del 6 febbraio 1971. Rimase ferito, fu sballottato a destra e a sinistra, ma il suo buon senso non è mai venuto meno nel prendere rapide decisioni. In uno di questi freddi locali installò un semplice altare e riprese immediatamente il suo ministero sacerdotale, sull’esempio dei primi Cristiani. Noi parrocchiani gli eravamo vicini, per riprendere coraggio dopo quel triste evento.

Don Lidano è stato un uomo di cultura: ha anche collaborato per la pubblicazione di un volume sulla storia di Tuscania.

Ricordo anche la sua costante presenza nelle nostre gite: siamo stati sempre tutti contenti di averlo con noi, sia per il suo spirito, perché si sapeva ben adattare alle nostre esigenze, ma soprattutto per l’autorità sacerdotale: in una parola, noi eravamo tranquilli e sicuri per il solo fatto della sua presenza in mezzo a noi!

Oggi, il suo peregrinare non è ancora finito. Iddio lo prova ancora! Ed egli sopporta la sua infermità con cristiana rassegnazione. Anziano e solo, lo vediamo aggirarsi per il nostro quartiere, tranquillo e sereno.

Ora, in questa ricorrenza, tutti uniti, caro Don Lidano, vi facciamo festa in questo grande giorno, che Iddio prolungherà!”

Tormentato negli ultimi anni da una grave infermità, accettò tutto senza un lamento, con fede viva, costante serenità, questa sua sorte, che lo costrinse a girare da un ospedale all’altro, per depositarlo sulla solglia del Regno, dove l’anima è in gloria. Don Lidano morì il 19 maggio 1990, all’eta di 76 anni.

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