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Chiesa di S. Giuseppe Tuscania
Posta nel cuore del centro storico del borgo di Tuscania, la chiesa di San Giuseppe si erge in capo a uno slargo – piazzale Cavour – aperto tra la strada provinciale SP12 e via dei Campanari. Orientata secondo l’asse che va da sud-est a nord-ovest, questa fabbrica di impianto prettamente controriformista – ossia una monoaula con cappelle laterali poco profonde fra loro comunicanti – presenta all’esterno una facciata a edicola su due livelli, scandita in modo sintetico da una doppia intelaiatura di fasce con scarsissimo rilievo rispetto al fondo. Volute laterali raccordano i due livelli e altre analoghe volute risolvono il timpano che conclude il prospetto. Al centro del piano della strada – rialzato di dieci gradini – si trova il portale lapideo il quale, segnalato da un timpano semicircolare e fiancheggiato da due nicchie tamponate, occupa il principale dei settori definiti dalle fasce verticali. Sopra, un rosone ottagonale affiancato da due nicchie con conchiglia – quest’ultime corrispondenti alle rispettive sottostanti – definiscono un impaginato maggiormente plastico. All’interno, invece, prende corpo una strutturazione più lineare che, scandita da una serie di semicolonne doriche lisce poste a sostegno della trabeazione poco sporgente, lascia sviluppare fra un sostegno e l’altro quattro piccole cappelle passanti, dotate però solo sul fianco destro (nord-est) di altare (ad eccezione dell’ultima procedendo in avanti). In fondo, sollevato di due gradini rispetto al piano di calpestio, si colloca il presbiterio con coro a terminazione piana: uno spazio di ridotta dimensione rispetto all’aula, concluso dall’altare maggiore e riccamente decorato lateralmente con affreschi parzialmente scomparsi sulle pareti. Qui, inoltre, si aprono due porte: una sulla destra (nord-est) che immette direttamente nella sagrestia; l’altra – sulla sinistra (sud-ovest) – che porta altresì al campanile: una torre quadrata ad un unico livello con cupolino. Quanto alle coperture, sia la sala liturgica sia il coro appaiono risolti per mezzo di una volta a botte la quale, lunettata, garantisce una sufficiente illuminazione diffusa nonostante il limitato numero di due sole finestre per parte.
Notizie Storiche
1637 (raccolta fondi carattere generale)
Sin dal 1637, la confraternita di San Giuseppe ottiene dal vescovo il permesso di raccogliere le offerte dei fedeli nella chiesa di San Lorenzo, dove la compagnia mantiene una cappella e un altare, per destinarle alla realizzazione di una nuova chiesa; sulla cassetta delle offerte viene affissa la scritta “Elemosina per la fabbrica di San Giuseppe”.
1654/05/07 (posa della prima pietra intero bene)
La prima pietra della fabbrica della chiesa, posta in contrada Strada Maestra e inclusa nel territorio soggetto alla giurisdizione della cattedrale di San Giacomo, viene posta il 7 marzo 1654 con la benedizione del canonico Vittorio Consortini alla presenza di tutto il clero, del magistrato e del popolo.
1659 – 1661 (donazioni costruzione chiesa intero bene)
I fratelli Veriano e Gabriele Bassi lasciano per testamento 100 scudi per l’acquisto di una casa da demolire, il cui materiale edilizio deve essere riutilizzato nella fabbrica di San Giuseppe; Sebastiano Mansanti con testamento dell’11 agosto 1661 lascia 500 scudi per finanziare il proseguimento del cantiere della chiesa.
1669 (lavori di costruzione in corso intero bene)
Al tempo della visita pastorale del vescovo Francesco Maria Brancaccio, la chiesa non è ancora ultimata e possiede un solo altare.
XVIII (completamento chiesa intero bene)
Nei primi anni del XVIII la chiesa è completata ed è coperta da un tetto a vista sorretto da travature lignee; sono realizzate le cappelle laterali dell’aula, con gli altari sopraelevati di due gradini, e, sul lato destro del presbiterio, la sacrestia con accesso esterno dal vicolo laterale. Il campanile è dotato di campane. In facciata è costruito con il contributo di Secondiano Marciliani il portale d’ingresso, sul quale viene posta un’iscrizione con il nome dell’oblatore, mentre nella parte superiore vengono realizzate la finestra ottagonale e le nicchie destinate ad accogliere delle statue (quest’ultime non verranno eseguite).
1708/05/11 (visita pastorale intero bene)
La chiesa viene visitata dal vescovo Andrea Santacroce che trova la sistemazione interna molto decorosa. Sull’altare maggiore, dedicato a San Giuseppe, è posto il quadro avente come soggetto il Transito del Santo. Sul lato destro dell’aula sono realizzati gli altari di San Francesco di Paola e di San Francesco Saverio ornati con quadri che rappresentano gli stessi Santi. L’altare di San Francesco Saverio è stato realizzato a spese di alcuni padri Gesuiti per le riunioni della congregazione degli Artisti da loro istituita a Tuscania; lo stesso altare è utilizzato dalla compagnia delle Donne che si propone di incrementare la vita religiosa tra i fedeli.
1720/01/16 (visita pastorale intero bene)
Dalla visita pastorale del vescovo Adriano Sermattei si rileva che è stato consacrato l’altare di Sant’Antonio da Padova e che sulla parete sinistra dell’altare di San Francesco di Paola è stata murata una lastra marmorea raffigurante il Santo con dedica e stemma gentilizio del canonico Bartolomeo Bonsignori.
1744/04/24 (visita pastorale intero bene)
Nella relazione della visita pastorale del vescovo Alessandro degli Abati Olivieri vengono elencati gli altari del Suffragio, di San Nicola di Bari, del Crocifisso e della Madonna del Terremoto.
1786 (descrizione intero bene)
Nella descrizione della chiesa fatta dalla confraternita in preparazione alla visita pastorale del 1786 si afferma che davanti all’altare maggiore vi è una balaustrata in legno, sul lato sinistro dell’aula è in funzione un altare detto “dello stendardo”, dove è stabilmente issato il vessillo per le processioni “di tela dipinto a sugo d’erba”, e in controfacciata è realizzata la cantoria in legno fornita di organo.
1846/05/16 (consacrazione intero bene)
La chiesa viene consacrata dal vescovo Bernardo Pianetti. I particolari dell’avvenimento vengono descritti in una lapide posta a destra della porta d’ingresso. L’iscrizione in lingua latina ricorda che il tempio dedicato a San Giuseppe è stato ridotto a forma più elegante e si fa riferimento all’indulgenza di cento giorni concessa nel giorno anniversario della consacrazione.
1880 – 1883 (visita pastorale e restauro intero bene)
Entro il 1881 si realizzano le coperture voltate dell’aula e del presbiterio; ciò si desume dalla visita pastorale di quell’anno, nel cui resoconto si descrivono anche l’altare dei Santi Martiri (primo a sinistra in prossimità del coro ornato con una tela già adoperata come stendardo con la raffigurazione dei Santi Secondiano, Marcelliano e Veriano) e quello della Madonna del Cerro (non si tratta di un nuovo altare, ma di quello dedicato a San Francesco Saverio dove era stato collocato un piccolo quadro con l’immagine mariana). Si acquistano un lampadario ornato con 130 gocce di cristallo e due lampadari con borchie, pietre di cristallo, fogliame di latta e guarnizioni di ottone. Nel 1882 viene ricostruito il tetto della sacrestia dopo i danni causati dal crollo di un’abitazione attigua e nel 1833 vengono spese 250 lire per eseguire lavori di restauro.
1908 – 1910 (soppressione confraternita carattere generale)
Con decreto reale del 23 gennaio 1908 il patrimonio della confraternita di San Giuseppe e delle altre confraternite di Tuscania passano all’ospedale di Santa Croce diretto dalla congregazione di Carità, istituita per amministrare la pubblica beneficienza con i beni sottratti alle confraternite. Il 18 luglio 1910 viene redatto il verbale della presa di possesso dei beni della confraternita.
1916/06/20 (descrizione intero bene)
Il parroco Bruno Luchetti predispone la relazione descrittiva della chiesa in vista della visita pastorale del vescovo. Il quadro raffigurante il Transito di San Giuseppe dell’altare maggiore è ornato con lo stemma gentilizio dei Consalvi e la tela della Madonna del Terremoto è opera del pittore Antonio Arieti. Il secondo altare sinistro è dedicato alla Madonna della Cintura e le sedie dell’aula sono tutte di proprietà privata. In sacrestia si conservano i ritratti di due insigni confratelli della compagnia di San Giuseppe, il cardinale Ercole Consalvi e il cardinale Fabrizio Turriozzi.
1971 – 1981 (danneggiamento e restauro intero bene)
Dopo il terremoto del 1971 la chiesa viene restaurata.
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Pianta
La chiesa si presenta impostata su una pianta longitudinale monoaula dotata di quattro cappelle laterali passanti per parte. In fondo alla sala, una riduzione della dimensione della stessa e un rialzamento di due gradini segnalano l’inizio dell’area presbiteriale: uno spazio rettangolare concluso sul fondo da un altare a muro. Lateralmente, sulla destra (nord-est), una porta immette direttamente nella sagrestia; dall’altro lato (sud-ovest) – invece – si accede direttamente al campanile: una torre quadrata.
Impianto strutturale
Strutturalmente, la sala liturgica si presenta impostata su un sistema di murature continue perimetrali, interamente intonacate, sopra cui si appoggia una volta a botte lunettata, replicata – senza però le forature – nel presbiterio. Quattro contrafforti esterni, posizionati in corrispondenza della partizione interna, garantiscono la stabilità dell’edificio, a cui collabora anche il campanile nell’angolo sud-ovest.
Coperture
All’esterno, la chiesa appare coperta da un tetto spiovente a due falde. La copertura è uniforme per tutta la lunghezza dell’edificio e il manto è in coppi. All’interno, si osserva nella sala una copertura a volta a botte lunettata per mezzo di due forature per lato. La stessa soluzione – priva però di finestre – si ritrova anche nel presbiterio.
Pavimenti e pavimentazioni
L’aula della chiesa e i suoi relativi spazi accessori sono tutti pavimentati per mezzo di lastre di marmo rettangolari di colore rosato, tessute in senso orizzontale; i gradini si presentano invece in peperino.
Elementi decorativi
La chiesa possiede alcuni elementi di pregio fra cui spiccano due acquasantiere in pietra (XVII secolo, controfacciata), un tabernacolo in legno dipinto (1717, nel presbiterio presso l’altare maggiore) posto nell’altare maggiore (XVIII secolo, presbiterio) e tre quadri raffiguranti rispettivamente il “Transito di San Giuseppe” (XVII secolo, nel presbiterio presso l’altare maggiore), un “San Francesco di Paola” (XVIII secolo, nella navata destra presso la seconda cappella) e una “Madonna in gloria con Gesù Bambino e santi” (XVIII secolo, nella navata sinistra presso la seconda cappella).
Adeguamento liturgico
presbiterio – aggiunta arredo (1971)
Si è provveduto a una ristrutturazione generale dello spazio liturgico tenendo presente le nuove indicazioni. In particolare, si è proceduto a realizzare un altare isolato in legno al centro del presbiterio rivolto verso l’aula antistante. Dietro, invece, sono state collocate alcune sedie per il celebrante ed eventuali ministranti, anch’esse in legno.
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La storia della Chiesa di S. Giacomo
Nella elezione del quartiere di Poggio a luogo dell’aristocrazia tuscanese del sec. XVI, non poteva mancare una chiesa ad esaudirne le istanze religiose. Così la vecchia chiesa San Giacomo, piccola e vecchia, fu negli anni tra il 1566 e il 1572 completamente rifatta per volere del nuovo vescovo Giovan Francesco de Gambara. Nel 1572 ospitò il Capitolo; più tardi, nel 1588 anche il Vescovato fino al 1653 e da allora fu cattedrale. Non sappiamo bene come il nuovo duomo era all’interno, ma sappiamo come era la facciata, unica superstite degli energici restauri dei primi del ‘700 che la vollero ancora più bella e barocca. Nel secolo dei Lumi gli fecero il campanile e la cupola, la stuccarono, la indorarono e la arricchirono di suppellettili. Solo la facciata rimase sobria di un’estetica quasi rinascimentale che, pur annunciando nelle terminazioni e nei portali le curvosità successive, richiama nel chiaroscuro tra lesene, cornici e parete la moda delle forme geometriche toscane. Il finestrone e i tre portali rimandano ad una annunciata grandiosità interna, realizzata però solo nello sfarzo, oggi velato dal candore bianco dei recenti restauri. Sotto le pesanti navate interne rimangono molti dei tesori della chiesa. A sinistra, oltre l’ingresso alla sacrestia coi dipinti dei vescovi di Tuscania, si trova un pregevole tabernacolo sacramentale in marmo bianco di Isaia da Pisa, della metà del XV secolo; venne portato qui dalla antica abbazia di San Giusto a conservare gli oli santi.
Nella navata a destra su una parete sono murate sei formelle di marmo con figure di santi scolpite a rilievo entro nicchie e placcate in oro. Opere di alta qualità eseguite anch’esse nella seconda metà del XV secolo da Isaia da Pisa. Provengono, come il tabernacolo, da San Giusto. I santi sono San Vito, Santa Monica, San Girolamo, Sant’Agostino, San Gregorio Magno e San Leonardo. I marmi dovevano far parte di un grande dossale d’altare.
Nella cappella della stessa navata sono conservati dipinti su tavola e tela di diversa provenienza ed età. In particolare un bel polittico, di scuola senese del XIV secolo di Andrea di Bartolo, proveniente dalla chiesa di San Francesco sul quale sono raffigurati: al centro una Madonna con Bambino ai cui piedi è messere Loccio Toscanese (committente dell’opera) a sinistra San Francesco e San Pietro; a destra San Paolo e San Luigi: in alto due busti di San Giuseppe e San Tommaso d’Aquino. Altra pregevole opera è un trittico a due facce di Francesco d’Antonio detto il Balletta, della prima metà del XV secolo, raffigurante il redentore benedicente tra la Madonna e San Giovanni Battista, l’Agnello pasquale nella cuspide e sul retro una Madonna orante tra San Giovanni Battista e Santa Cristina. L’opera ritardataria e di gusto gotico-cortese, testimonia, nonostante i contatti, quanto i canoni artistici in voga nel viterbese fossero arcaici. D’altra parte tali ed altre opere danno l’idea della vitalità di Tuscania alla fine del medioevo e dei contatti umbro-toscani che la città manteneva pur gravitando con Viterbo su Roma.
La Diocesi di Tuscania è tra le più antiche della Tuscia. A parte la tradizione locale, che fa risalire i primi vescovi tuscanesi ai tempi apostolici, la loro presenza nei sinodi e nei concili è documentata dal VI secolo in poi, quando la prima cattedrale era Santa Maria Maggiore. Per difendersi dalle incursioni saracene, intorno al secolo VIII la sede vescovile fu obbligata a trasferirsi sul vicino colle presso la chiesa di San Pietro, che divenne la nuova cattedrale.
Troppo note sono queste due antichissime chiese per spenderci sopra altre parole; basterà semplicemente averle ricordate. La crisi del XIV secolo produsse i suoi effetti negativi anche a Tuscania e la contrada Civita incominciò a spopolarsi; la cerchia muraria venne ristretta e la cattedrale di san Pietro si trovò isolata dal Centro Storico. Ancora un paio di secoli e anche il vescovo con il capitolo trasferirono la cattedrale entro la nuova cerchia muraria.
Alla fine del Quattrocento spesso fungeva da cattedrale la chiesa di Santa Maria della Rosa, finché il vescovo Card. Gianfrancesco de Gambara (1566-1576) decise di trasferire definitivamente la cattedrale presso la collegiata di San Giacomo Maggiore. Nel 1572 iniziarono i lavori di ristrutturazione, che trasformarono la chiesa romanica a tre navate in forma tardo rinascimentale e ormai barocche.
I lavori si protrassero per qualche anno e il successore, l’arcivescovo Carlo Montigli (1576-1594) la inaugurò con una semplice benedizione, il 14 gennaio 1590.
La nuova cattedrale di San Giacomo venne consacrata 32 anni dopo dal vescovo Card. Tiberio Muti (1611-1636) il I° marzo 1622.; un’epigrafe ora collocata all’inizio della navata di destra ricorda quell’evento.
Oltre all’altare maggiore dedicato a San Giacomo la chiesa presentava nella navata di destra tre altari (SS. Gerolamo e Biagio, Immacolata Concezione, Santo Crocifisso) con in fondo la cappella dei SS. Giusto e Giuliano; nella navata di sinistra tre altari (S. Michele Arcangelo, la Madonna di Loreto, Madonna della Sanità) con in fondo la cappella della Madonna Costantinopolitana.
Nel 1753, a spese del Comune, si aprì una nuova cappella nella navata di sinistra dove era la cappella della Madonna della Sanità; l’amministrazione comunale voleva quella cappella per accogliervi degnamente le ossa dei SS. Martiri protettori della città.
Nel 1783 i lavori della cappella terminarono con la realizzazione delle tre tele del pittore Nicola Bonvicini, rappresentanti l’esilio, il processo e la gloria dei tre SS. Martiri. Ma la cappella fu dedicata al SS Sacramento e le venerate ossa dovettero attendere ancora 200 anni prima di esservi trasportate nel 1983 per iniziativa privata dell’allora parroco don Domenico Zannetti.
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Il Complesso monumentale è costituito da una serie di edifici che occupano attualmente quella che era stata l’antica acropoli della città etrusca. Nell’area del recinto sono collocate le due torri, l’arco, il Vescovato, la Chiesa.
Fondata nell’VIII secolo in forme tardo-romane, la chiesa è stata quasi completamente ricostruita nell’XI secolo e ancora trasformata nel XII, con il prolungamento della navata e la costruzione di una nuova facciata. Il monumento è opera di particolare rilievo artistico, storico e architettonico poiché, collocandosi, come origine, agli inizi dell’età paleocristiana, costituisce un evento decisivo per la formazione della tipologia basilicale.
Il portale maggiore, opera di marmorari romani, è articolato su diversi piani di profondità resi da tre archivolti poggianti su colonne lisce e capitelli di forma varia, in parte antropomorfi con valore simbolico; l’archivolto maggiore è decorato da tarsie marmoree e bugne con segni zodiacali e figurazione dei lavori stagionali.
L’ingresso principale è incorniciato da una lesena di marmo con decorazione a mosaico ed è sovrastato da una lunetta a motivi stellari. Una loggia ed un ricco apparato decorativo scultoreo in marmo bianco sormontano il portale stesso. La loggia, con grifoni alati ai due estremi, si articola in 11 arcatelle che poggiano su colonnine marmoree con capitelli ionici. Al di sopra della loggia si ha un ricco apparato decorativo marmoreo chiuso ai due lati da un toro e una giovenca in altorilievo ad aggetto, a sostegno di due paraste laterali e di una cornice orizzontale a mensola con foglie ricurve che funge da separazione del timpano superiore privo di decorazioni.
Al centro dell’insieme decorativo è inserito un rosone marmoreo, inscritto in un quadrato nei cui angoli sono raffigurati a rilievo i simboli di Dio centro dell’Universo. E’ costituito da tre cerchi concentrici in marmo ed è fiancheggiato da altorilievi con draghi alati che inseguono la preda; nelle parti laterali si hanno le raffigurazioni del Bene e del Male del Mondo posto a cornice di due finestre bifore con vasetti decorati a mosaico. Il Regno del Bene e della Salvezza è rappresentato dalla figura di Atlante che sostiene simbolicamente la Chiesa, raffigurata attraverso una ricca vegetazione ad intrecci floreali circolari alternativamente grandi – entro cui sono l’Agnus Dei, due Angeli e i quattro Padri della Chiesa – e piccoli – con testine allegoriche. Il Regno del Male è reso da una figura di demone a tre facce e con un serpente tra le braccia. Dalle bocche delle due facce laterali del demone si sviluppano verso l’alto rami con foglie, fiori e frutti diversi che racchiudono figure di arpie. In alto girali di vegetazione culminano entro le bocche laterali di un altro demone a tre facce.
Le parti laterali della facciata, arretrate rispetto al corpo principale, hanno due portali di accesso con ampi archivolti decorati a motivi vegetali e lunette, in cui sono scolpite un’aquila e un idra in atto di mangiare serpenti. Al di sopra di essi sono poste due protomi leonine di risulta. Motivi di semicolonne ad arcata cieche, con cornici ed archetti pensili, ritmano le parti laterali della facciata e si ripetono lungo le pareti esterne di tutto il complesso monumentale.
L’interno conserva le caratteristiche di un impianto “arcaico” a tre navate con transetto rialzato. La struttura interna si completa con un ciborio, un seggio vescovile ed una limitata serie di capitelli provenienti da età più antica. Proprio per questo motivo la radice classica si presenta come l’aspetto più importante della formazione e formulazione dell’espressività romanica. La pianta, non regolare ma trapezoidale con convergenza verso l’abside, consente una visione simultanea ed unitaria di tutta la massa spaziale.
La navata centrale è separata dalle laterali da colonne di differente fattura e pilastri con semicolonne addossate reggenti arcate a doppia ghiera dentata. Le colonne sono collegate tra loro con muretti e sedili in pietra.
L’illuminazione, affidata a strette finestre, crea notevoli effetti plastici sull’insieme degli elementi scultorei e decorativi presenti all’interno. Nella parete presbiteriale permangono le testimonianze dell’apparato scultoreo dell’originaria chiesa del secolo VIII e del IX nella balaustra del coro e nei parapetti divisori del transetto.
Le pareti erano un tempo completamente rivestite di affreschi riconducibili al mondo pittorico romano del XII secolo. Restano oggi, a seguito del terremoto del 1971, solo poche tracce di Angeli, Apostoli e Santi entro tondi, uniche testimonianze del grande affresco absidale in cui era raffigurato un Cristo ascendente, benedicente e con il globo terracqueo in mano, circondato da una doppia schiera di angeli, dagli apostoli e dai padri della Chiesa.
Sopra l’abside è rappresentato il tema dell’apocalisse. Altri dipinti coevi sono il Cristo benedicente tra due vescovi nell’absidiola di destra e il battesimo di Cristo in quella di sinistra. Nella parte alta del presbiterio sopra l’arcone di destra, sono rappresentate scene della vita di S. Pietro che rimandano allo stile dei dipinti romani di San Clemente databili alla fine dell’XI secolo.
Completa mirabilmente l’ambiente, tra i più straordinari dell’architettura romanica italiana, il pavimento musivo cosmatesco.
Dalle navate laterali, attraverso anguste scalinate si accede alla cripta, preceduta, sulla destra, da un piccolo vano, l’avancripta, organizzata come una cappellina. Questo vasto ambiente – ove nel 648 furono collocati i corpi dei martiri, santi Secondiano, Variano, Marcellano, protettori di Tuscania – ha pianta rettangolare con nove navate longitudinali ed è articolato in quaranta volte a crociera poggianti sulle ventotto colonne a capitelli marmorei di risulta provenienti da edifici romani ed alto medievali della zona. L’absidiola d’altare ha una decorazione con una madonna in trono tra Angeli, san Pietro e san Paolo.
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Don Angelo, è nato a Tuscania il 28 aprile 1927, ha svolto diversi lavori da giovane: ragazzo di bottega da un barbiere, poi da un fabbro, quindi in una falegnameria e poi in campagna. Grande la sua passione per il disegno e la pittura.
Ha poi lavorato in seminario e proprio in seminario arriva la vocazione. Diventa quindi seminarista ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1952. Il giorno successivo, la prima messa in cattedrale a Tuscania.
Don Angelo è stato viceassistente dell’Azione Cattolica. Ha fondato il giornale Sottobanco di cui era direttore responsabile, essendo giornalista fin dal 1961.
E’ stato insegnante di disegno; vicerettore ed economo del seminario; aiuto del fratello Mario, parroco di Santa Maria Nuova; insegnante di religione alla scuola media, poi al Preziosissimo Sangue, quindi al ragioneria e al geometri.
Dopo la morte improvvisa del fratello Mario, parroco di Santa Maria Nuova, su richiesta del vescovo Adelchi Albanesi, lo sostituisce nel ruolo.
Dal 19 febbraio 1966, per 40 anni ha svolto il ruolo di padre, fratello, consigliere per tutti i parrocchiani, che avevano sollecitato la sua nomina.
A lui si deve la sistemazione del chiostro Longobardo, della cripta, il recupero delle opere d’arte della chiesa di Santa Maria Nuova, il restauro del soffitto che oggi si può ammirare con le varie pianelle dipinte.
E’ stato uno dei sacerdoti più autorevoli, conosciuti e attivi della diocesi e un pezzo della storia della chiesa di Viterbo che ha servito con zelo instancabile fino agli ultimi giorni della sua lunga esistenza.
Il suo parlare sereno e appassionato, i suoi consigli profondi e puntuali, la sua dedizione generosa e tenace, la sua intelligenza profonda e perspicace, insieme a quell’esperienza di una vita temprata anche dalla sofferenza, hanno fatto di lui un punto di riferimento per tante persone che lui accoglieva con quel sorriso e quella cordialità che sempre lo hanno contraddistinto e per i quali è stato da tutti apprezzato e amato.
Don Angelo Garguli ha lasciato questa vita il 27 febbraio 2019 e le sue spoglie mortali riposano nella sua amata Tuscania.
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Padre Vanio Di Marco nacque a Tuscania il 10 giugno 1935. Proveniva da una famiglia di solidi principi cristiani. I suoi genitori, ancora viventi, si sentirono fieri della vocazione del figlio e lo aiutarono nel suo cammino vocazionale.
Dopo la scuola elementare entrò nel seminario di Dipingano, retto dai Padri Giuseppini del Murialdo, iniziando così il lento e laborioso cammino verso la vita religiosa e sacerdotale.
Nel biennio 1953-54 fece il noviziato in Vigone sotto la guida saggia, prudente e santa del Padre Vittorio Ambrosini, del quale Padre Vanio parlerà poi spesso con i suoi confratelli.
Continuò gli studi superiori a Ponte di Piave (Treviso) negli anni 1954-1957. Fece le sue prime esperienze apostoliche con i giovani nel collegio Murialdo di Albano Laziale (Roma). Gli studenti lo stimarono e lo apprezzarono per la sua dedizione e la sua disponibilità nell’aiutarli. Molte volte ricorderà questa sua esperienza vissuta con entusiasmo, che gli sarebbe servita poi nell’apostolato con i giovani del Collegio “Rubira” a Salinas e specialmente nel Collegio “PADRE Marco Benetazzo” di Babahoyo.
Frequentò gli studi filosofici e teologici in Viterbo dove, al termine di una formazione vissuta con impegno, venne ordinato Sacerdote il 4 aprile 1965.
Per la sua generosità d’animo, per il suo spirito di servizio e il desiderio di essere utile ai fratelli, lo stesso anno dell’Ordinazione Sacerdotale i superiori lo scelsero per inviarlo nella Provincia Missionaria “S. Francesco Saverio” in Ecuador.
Dopo una breve permanenza nel seminario “Leonardo Murialdo” di Ambat, passò al Collegio Salinas, dove fu anche direttore dal 1971 al 1975. (a destra Padre Vanio con Madera Brannetti)
L’obbedienza lo portò poi al Collegio di Babahoyo. Qui si manifestarono le sue doti di educatore e di padre, in una vita dedicata agli orfani nello spirito del Murialdo. Fra quei giovani bisognosi e dimenticati egli espresse tutto l’entusiasmo del suo animo, senza ostentazioni di iniziative straordinarie, donandosi totalmente a loro senza limitazioni di tempo né risparmio di energie.
Qui poté imitare e continuare l’opera caritativa del Padre Marco Benetazzo.
Qualche rara volta tornava a Tuscania, ma sempre per una fugace visita. In una di queste rare occasioni (era il 1979, l’anno del bambino) Angelica Cesetti organizzò una festa nei locali del Centro Anziani, dove Padre Vanio venne accolto con grande affetto ed entusiasmo. La signora Cesetti riuscì a raccogliere tra gli anziani una discreta somma di denaro, che fu seduta stante consegnata a Padre Vanio per aiutare i bambini poveri della sua parrocchia.
Durante l’anno scolastico 1983-84 Padre Vanio fu parroco e direttore dell’opera giuseppina di Guayaquil.
Alcune volte, in conversazioni personale, diceva: “Sono venuto in Ecuador con desiderio di lavorare nella missione del Napo. Sono già trascorsi alcuni anni, e la Missione la conosco molto superficialmente”.
Il Divino Maestro che lo aveva chiamato dalla sua famiglia alla congregazione giuseppina e dalla sua patria, lo andava preparando spiritualmente. Trovandolo pronto per l’ultima missione apostolica, lo inviò a coronare la sua vita nella Missione Giuseppina del Napo.
Padre Vanio sviluppò la sua azione pastorale nei centri missionari di Fatima e di Santa Clara con impegno, dedizione e sacrificio.
Periodicamente visitava altri centri missionari. Dove molte persone attendevano la sua azione pastorale. Là egli si rendeva presente per fare catechismo e amministrare i sacramenti. Tali attività apostoliche andavano minando la sua robusta costituzione fisica. Tuttavia Padre Vanio, nel ritornare dalle visite apostoliche, mostrava molta gioia per aver potuto aiutare i più poveri e abbandonati.
Non aveva tempo per riposare; era sempre pronto e disponibile. Nessuno ha mai bussato alla porta della sua casa senza essere aiutato spiritualmente e materialmente.
Negli ultimi mesi della sua vita soffrì molto a causa di una bronchite acuta. I Superiori lo avevano invitato a curarsi e a prendere un meritato riposo. Ma il suo desiderio di lavorare nei centri missionari era incontenibile: non si sentiva di lasciare i suoi fedeli privi della Santa Messa e avvertiva la sua presenza come doverosa.
Nulla lasciava prevedere che la sua fine sarebbe stata così imminente.
Cosa sentiva nel suo cuore? Cosa gli suggeriva il Divino Maestro?
Pochi giorni prima del suo ritorno alla Casa del Padre si era recato al Santuario della Madonna dell’Acqua Santa, in Banos. Al suo ritorno disse: “Avevo sentito una forte ispirazione di andare in pellegrinaggio al Santuario della Madonna; là ho pregato a lungo, e sono tornato con una grande pace nel cuore”.
La mattina del 17 luglio celebrò con devozione come al solito la Santa Messa nella Chiesa di Santa Clara (Ecuador), alla presenza delle Suore Murialdine e di pochi altri fedeli. Poi, sentendosi stanco, si avviò verso la sua stanza per riposarsi, ma svenne mentre saliva le scale. Accorsero le Suore Murialdine e i medici dell’ospedale. Inutili furono gli sforzi per salvargli la vita. Un collasso cardiaco e polmonare aveva stroncato la sua esistenza a soli 52 anni. Era il 17 luglio 1987. Padre Vanio è sepolto a Tena (prov. di Napo, in Ecuador) nella tomba della Congregazione dei Padri Murialdini.
Nel cimitero di Tuscania è stata eretta una stele alla sua memoria e l’Amministrazione comunale di Tuscania gli ha dedicato una via con delibera consigliare n. 82 del 9 aprile 1988.
(Le notizie biografiche sono tratte dalla commemorazione scritta dal Superiore Provinciale Padre Giovanni Pegoraro).
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