
Nel capitolo “Il Valore religioso della Messa” vi sono molte sottolineature fatte da D. Mario. E quello che più colpisce è la frase iniziale che lui ha sottolineato: “Il Sacrificio richiede la distruzione della Vittima”.
E qui è necessario fermarsi per poter ricordare brevemente chi era D. Mario.
Don Mario Gargiuli nasce il 12 Gennaio 1923 a Tuscania, all’età di 12 anni entra in Seminario, viene ordinato il 5 Luglio 1948 da Mons. Domenico Brizi amico di famiglia. Appena ordinato viene nominato vicerettore del Seminario della Quercia e dopo aver trascorso un breve periodo come viceparroco a S. Angelo in Spatha, diventa parroco nella Parrocchia di S. Maria Nuova. Muore in un incidente stradale il 19 febbraio 1966. Bastano queste poche righe e soprattutto quel 19 febbraio per poter riprendere il filo del discorso dalla frase da lui sottolineata.
La frase sottolineata su quel libretto ci riporta senza tanti sforzi di memoria e senza ricercare troppo il vero significato di quella frase (che ovviamente va letta in relazione al Sacrificio dell’Altare) alla fine prematura di D. Mario.
Si può forse osare di dire che in quel sacrificio di se’, D. Mario è divenuto un tutt’uno con la Vittima dell’Altare. Ma in quel libretto le sottolineature non si fermano e continuano nella mente di chi l’ha conosciuto i rimandi alla sua vita e soprattutto alla sua Fine: “e traforato e ucciso come sul calvario .non muore più”,” Troppe cose riempiono ogni giorno questo piccolo vaso del cuore, il quale ne trabocca”,”Diverso è il modo dell’oblazione..”,”il Verbo prende la forma del pane.”, “Esser uomo e divenire commestibile, divenirlo a tal punto che non si possa servire ad altro uso che a quello di alimento ..”. E fermiamoci ancora una volta su queste due ultime sottolineature che ci portano alla mente alcune sue espressioni contenute nelle sue brevi ma intense omelie.
Omelie che furono pubblicate nel libro “I Discorsi della Domenica”e queste Omelie egli le pronunciava con non poco imbarazzo, arrossendo di fronte alle persone in modo notevole per colpa della sua grande timidezza.
Nella prima Domenica di Quaresima egli scrive ” il pane lo si mangia per strada, tra un colpo di remi e un altro sotto la bora o sotto il maestrale. Un pane che non ha profumo se non di sudore, un pane che non ha gusto se non di vita, un pane che fa stare in piedi, che serve a camminare, a remare, a vangare a combattere con fede, a morire in pace”.
Nel tessuto di queste omelie e di queste parole e soprattutto alla luce della sua vita possiamo affermare che quel divenire commestibile e il diventare alimento per gli altri è stata un’altra delle sue caratteristiche di D. Mario.
L’ultima frase che egli sottolinea in quel capitolo è questa “Si sacrifica per il nostro bene.”.
Davvero D. Mario è stato un prete che “si sacrifica per il nostro bene” e come ricordava un articolo pubblicato dopo la sua morte, per coloro che han conosciuto D. Mario, “non era un prete. Il Padre Eterno, a corto di ministri, prese dalle riserve un angelo, lo lasciò sulla terra, lo fece atterrare al Cerro, in Maremma, illuminò chi di dovere per far di lui un sacerdote. Solo i buoni sono veramente grandi. E non muoiono. Mai!”